Omelia della santa Messa – Festa di san Giuseppe lavoratore – Medjugorje, 1 maggio 2020
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.
Parola del Signore.
Cari fratelli e sorelle, il Papa Pio XII, dando vita a questa memoria il 1. maggio 1955, parlando ad un’associazione di lavoratori ha voluto sottolineare il significato morale della protezione di san Giuseppe: ridare al lavoro l’idea cristiana di rispetto per Dio e non vedere il lavoro solamente come un bisogno umano, ma anche come motivo di crescita.
San Giuseppe, discendente della tribù di Davide e custode del Figlio di Dio, è un santo molto vicino a tutti. Ha vissuto una vita normale, come la maggior parte delle persone, lavorando, sacrificandosi, sudando. Era un semplice falegname.
Nel Vangelo, che è il libro della Santità di Dio in mano all’uomo, esiste solamente una lode a san Giuseppe: era un “uomo giusto”.
Noi siamo facili nelle parole e lenti nelle opere grandi. Parliamo tutti i giorni della giustizia. Vogliamo giustizia per tutti. E’ un argomento molto frequente in questo periodo, ma forse non sappiamo cosa significhi il termine “uomo giusto”. Se esiste un uomo giusto bisogna metterlo agli onori degli altari.
Ecco perchè la Chiesa ha messo san Giuseppe agli onori degli altari.
San Giuseppe ha consacrato tutta la sua vita a Dio. E’ rimasto puro per poter essere protettore della Verginità di Maria. La perfezione non è nella Verginità, ma lui ha vissuto questo impegno importante in modo degno, comprendendo questo obbligo della sua posizione, della sua cura per il Figlio di Dio. L’ha vissuto come Volontà di Dio. Ha dato al prossimo le opere delle sue mani. Ha mantenuto la sua famiglia in modo esemplare. Ha accolto tutto ciò che gli ha dato la Provvidenza. Dal suo volto risplendeva la pace gioiosa. La gioia è un vero tesoro dell’anima umana e provviene dal realizzare in modo perfetto la Volontà di Dio negli impegni quotidiani.
“Beati coloro che hanno sete e fame di giustizia”. Beati proprio perchè l’anima desidera ciò che ci è naturale. Ecco perchè san Giuseppe è un grande santo.
Nella storia della devozione a san Giuseppe sorprende che questo grande santo sia rimasto sconosciuto per tanto tempo. Negli ultimi secoli è uscito dall’ombra ed i papi lo hanno proclamato custode della Chiesa intera. L’hanno scelto come protettore degli operai. Il lavoro è una cosa nobile. Per poter scoprire questa nobiltà gli operai devono conoscere il proprio protettore: san Giuseppe di Nazaret.
Guardando Gesù non dobbiamo dimenticare che era Figlio di un operaio, di un falegname. Quelle Mani che hanno guarito i lebbrosi, che hanno ridato la luce ai ciechi, che hanno risorto i morti e che sono state trafitte sulla croce, erano mani che hanno sentito il peso del lavoro. Erano le Mani di un artigiano.
Guardando le nostre mani, che forse sono rese dure dal ferro, dal legno o dalla pietra, pensiamo alle Mani di Cristo, Figlio del falegname di Nazaret, e comprenderemo la dignità del nostro lavoro.
Il Cristianesimo ha scoperto la grandezza di san Giuseppe, il falegname. Il Cristianesimo collega ciò che la saggezza umana non riesce a fare. Il mondo pagano non ha potuto mettere in risalto la grandezza del lavoro. Per loro il lavoro era una cosa vergognosa. Solo gli schiavi lavoravano. I pagani disprezzavano il lavoro.
Il Cristianesimo, invece, ha dato dignità e grandezza al lavoro. Nel lavoro leggiamo l’anima dell’uomo. In una goccia di sudore possiamo ammirare il cuore e la volontà dell’uomo. Nell’impegno e nello sforzo possiamo vedere anche la possibilità di espiare i nostri peccati. Possiamo far felici gli altri: le famiglie, i popoli.
Chi è, dunque, più vicino a san Giuseppe che un operaio? Anche lui era operaio.
Questo pensiero invita tutti gli operai ad avvicinarsi alla famiglia di Nazaret, affinchè tutti possano conoscere l’Operaio più grande: Gesù che è Dio e ha costruito il mondo.
La famiglia di Nazaret attira tutti i veri lavoratori. Essa sa cosa significhi essere senza casa, vivere nella persecuzione, nel pericolo. San Giuseppe è grande, perchè è stato custode di Gesù e sposo della Beata Vergine Maria. Santo dei santi.
Se vogliamo che le nostre famiglie e la Chiesa crescano ascoltiamo santa Teresa che diceva: “Non si è mai sentito che uno sia ricorso alla bontà di san Giuseppe e non sia stato esaudito. Se non mi credete vi prego, in Nome dell’Amore di Dio, provate e mi crederete”.
Nel proteggere il lavoro san Giuseppe invita gli operai del mondo intero ad unire la preghiera al lavoro. Anche se un uomo è piccolo con la preghiera e il lavoro diventa grande, come ha detto san Benedetto.
San Benedetto ha raccontato che un monaco aveva perso gli attrezzi per il lavoro, perchè gli erano caduti nel fiume. Il monaco ha cominciato a piangere. San Benedetto ha steso la mano sull’acqua e gli attrezzi ne sono usciti. Li ha presi e li ha consegnati al monaco in lacrime. Lo ha invitato ad avere fede come lui: “Prega e lavora. Non essere triste. Hai capito? Prega e lavora. Ti devi anche impegnare nel lavoro e non solo pregare”.
San Giuseppe non può essere separato da Maria nè nella preghiera nè nel lavoro. San Giuseppe era oggetto dei Suoi sentimenti più puri.
Non c’è giorno più adatto di questo per iniziare la devozione mariana di maggio in cui vedremo la Madonna come Bambina, Vergine, Sposa, Madre, Vedova, Operaia, la vedremo nei momenti gioiosi e tristi della Sua Vita. Contempleremo la Sua Luce spirituale e vedremo come dovrebbe essere la nostra vita se ci vogliamo assicurare la felicità e la beatitudine per la vita eterna.
Amen.
fra Dragan Ružić
Fonte: (Registrazione di Flavio Deagostini)
(Trascrizione a cura di A. Bianco)